Alfano conferma De Luca, Cantone lo smentisce: Non può accedere all’incarico

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ROMA – Comincia ad assumere i contorni del mistero vero e proprio la questione riguardante l’effettiva possibilità di governare da parte di Vincenzo De Luca, dieci giorni fa eletto governatore della Campania. 

Se due sere fa Enrico Letta, che lo aveva voluto nella sua squadra di governo come viceministro alle Infrastrutture, ha chiaramente affermato su La7 che “per la legge Severino De Luca non può governare una Regione. Punto”, ieri Angelino Alfano, ministro dell’Interno, è intervenuto in Parlamento per rispondere ad una interrogazione arrivata dai banchi di Sel. “Vorrei chiarire – ha affermato Alfano – che De Luca è risultato candidato ed eleggibile, in quanto la situazione in cui egli versa impedisce esclusivamente l’esercizio temporaneo delle funzioni pubbliche per un periodo di 18 mesi, eventualmente prorogabile fino a un massimo di 30. La prospettiva sostenuta dagli interroganti sul trascinamento in danno dell’intera assise consigliare” e la necessità conseguente “di tornare alle elezioni, determinerebbe una lesione irreversibile anche del diritto soggettivo del dott. De Luca, nei cui riguardi non sussiste allo stato una situazione di impedimento permanente. Ai fini dell’avvio del procedimento finalizzato alla sospensione di Vincenzo De Luca – ha concluso Alfano – occorre attendere la proclamazione degli eletti”.

Di parere fortemente contrario l’Autorità Anticorruzione, presieduta dal magistrato Raffale Cantone (nella foto), il quale pochi giorni fa, a Repubblica, si era lasciato andare a frasi colme di dubbio sulla reale interpretazione della Severino. “La legge Severino vale ad impedire l’accesso alla cariche politiche”, si legge in una delibera adottata ieri dall’Anac. Ne consegue che De Luca, considerate le norme di salvaguardia delle istituzioni volute dal legislatore, non può accedere alla funzione e assumere nemmeno per un attimo la funzione di Presidente della Regione Campania “con conseguente impossibilità di compiere qualunque atto”, come ha scritto la Corte costituzionale. 

Il problema, dunque, è alla base. E cioè in un partito che ha scelto di candidare un politico sul quale gravava una interdizione ad assumere la carica. Se le cose non fossero mutate (e non sono mutate), ne sarebbe conseguita la paralisi dell’ente, con il necessario e conseguente ritorno alle urne.