CITTA’ DEL VATICANO – La diplomazia d’Oltretevere è tornata al lavoro. Ed è tornata alla grandissima.
A venticinque anni dalla caduta del Muro più famoso della Storia, la tela tessuta al secondo piano del Palazzo Apostolico per normalizzare i pessimi rapporti tra Stati Uniti e Cuba ha sortito i suoi effetti in poco meno di un anno. “Todos somos americanos”: è con queste parole che Barack Obama, in un discorso alla nazione contemporaneo a quello tenuto da Raul Castro ai cubani, ha annunciato la fine dell’embargo su Cuba, definito “un errore”, e l’inizio di relazioni diplomatiche che in poco tempo dovrebbero condurre all’apertura di una ambasciata a stelle e strisce a L’Avana e di una cubana a Washington.
Una svolta storica negli equilibri della geopolitica mondiale. Una svolta che porta in calce la firma del Pontefice, non a caso pubblicamente ringraziato sia dal Presidente Usa che da quello cubano. Incontri segreti all’ombra di San Pietro, carteggi altrettanto riservati, telefonate oltreoceano e appuntamenti decisivi. E’ così che è nata ed è arrivata a conclusione un’operazione nella quale non era riuscito nessuno. Una svolta anche nella produttività dell’azione diplomatica della Santa Sede, finora vista più come tessitrice di rapporti fini a se stessi che come vero “tertium inter pares” all’interno di controversie internazionali delicate e potenzialmente pericolose. Dunque, va detto.
Dunque, un grandissimo merito a Francesco va riconosciuto. Predicare bene e razzolare meglio. Una Chiesa che non si limiti a parlare di pace, ma la coltivi per davvero, è il concreto segnale di quanto importante possa essere la capacità di sfruttare appieno il potere che essa indubbiamente ha.