Una nuova strage a largo di Lampedusa apre l’irrisolta questione sull’operazione Mare Nostrum e sul ruolo dell’Europa. Sarà, forse, stata la scelta iniziale di denominare l’operazione militare e umanitaria nel Mar Mediterraneo meridionale con il possessivo latino “nostrum” a far credere all’Europa di poter lavarsene le mani. Sarà stata – e ci divertiamo a pensarlo in un clima di tensioni e mancanze – la particolare posizione geografica della nostra Penisola a isolarla dalle continue tragedie di immigrati nel Mediterraneo e a fare dell’Italia l’approdo sicuro dei più tristi viaggi della speranza intrapresi dall’Africa.
Fatto sta che l’unico dato certo è che il nostro Paese si ritrova puntualmente solo a dover fronteggiare una questione di dimensioni europee. Se, infatti, il motto fosse vero e l’unione facesse, effettivamente, la forza, allora il problema non si porrebbe. Ma, in questo caso, non si parla né di unione né tanto meno di Unione Europea. Piuttosto sembra elevarsi da un lato l’immagine di un’Europa-fortezza, che issa le sue barriere dinanzi a un Mediterraneo-cimitero e quella di un’Italia trovatasi, accidentalmente, a fare da ponte tra il civilizzato e avanguardista continente e la più povera Africa.
Ora però, quella stessa Italia, trait d’union di libertà, troppo spesso accondiscendente e volenterosa nel fornire l’aiuto necessario là dove ce ne fosse bisogno, inizia a puntare i piedi e a richiedere insistentemente una maggiore solidarietà e una partecipazione attiva di Bruxelles. Stanca di contare solo ed esclusivamente sulle proprie forze, quest’Italia delusa e arrabbiata chiede l’intervento diretto di un’Europa che finora non è stata capace di mantenere le sue promesse.
Così ,mentre nuove vite si spezzano nel Mare Notrum, passando inosservate agli occhi del Vecchio Continente, la nostra povera Italia si rimbocca le maniche per gestire al meglio i già affollati centri di accoglienza e assicurare un primo porto sicuro ai fuggitivi alla ricerca della felicità.