Quando la penna ferisce più della spada è guerra certa, ma impari. Alle linee morbide del lapis, alle provocatorie vignette in bianco e nero fanatici integralisti – nel senso lato del termine – rispondono con il fuoco, le bombe, la morte.
La strage di ieri, 7 gennaio, che ha messo in ginocchio il cuore della satira parigina, ha scosso il mondo intero. Si sa, all’epoca di Twitter, Facebook e Instagram l’episodio non potrà mai passare inosservato e scorrendo le home pages appaiono numerosi i messaggi di cordoglio e le condivisioni con l’hashtag #jesuischarlie. Tanta, calorosa e inaspettata, dunque, la solidarietà sui social network nei confronti delle 12 vittime dell’attentato terroristico alla redazione di Charlie Hebdo, intrapresa con una campagna emozionante che leva in alto penne e matite come stendardi della libertà di espressione e di opinione, quella appunto violata per l’ennesima volta nella giornata di ieri.
“Je suis Charlie” è diventato perciò denuncia e commemorazione. “Je suis Charlie” dà, infatti, voce al dolore, alla rabbia, allo sgomento di un Paese offeso e libero. “Je suis Charlie” è la prova concreta di un mondo sempre più intollerante, di un’integrazione impossibile, di una guerra perpetua, di un dialogo assente. “Je suis Charlie” è l’amara consapevolezza del fatto che quello che un simile attentato è solo l’assaggio di una violenza inaudita pronta a esplodere per difendere un’idea, un credo differenti.