MILANO – Forse, nemmeno il più grande oratore di tutti i tempi, come il buon caro e vecchio Cicerone insegna, avrebbe avuto una tale abilità e altrettanta astuzia. Forse, nemmeno il più spietato degli avvocati una simile maestria degna di quella retorica suggestiva e manipolatrice, contro la quale non esistono forme di resistenza.
E così, unica nel suo genere e a tratti fuori dagli schemi, dopo nove mesi d’intenso travaglio ma del tutto inattesa, prorompe nel processo d’appello di un grigio 25 marzo la stravagante requisitoria del procuratore generale di Milano Gaetano Santamaria, volta all’assoluzione degli stilisti Dolce e Gabbana. La loro colpa? Inevitabile o – per i più ingenui – presunta evasione fiscale, per la quale sono stati condannati in primo grado a un anno e otto mesi. Ma a suscitare scalpore e qualche innocuo sghignazzo sono le ovvie motivazioni avanzate dal magistrato, per il quale “il fatto non sussiste”. Là dove era stata vista, da un’accusa evidentemente poco attenta, una frode alquanto rilevante, in realtà non ci sarebbe altro che, secondo il procuratore milanese, il riflesso di una grande impresa moderna, quale quella del noto marchio italiano della moda, che avrebbe agito legittimamente.
Difendendo a spada tratta la creazione di una società in Lussemburgo per tutelare i marchi del gruppo, dalla quale sarebbe scaturita l’evasione fiscale, il sostituto procuratore ha prontamente reputato l’operazione una mossa strategica, che si conviene a qualsiasi grande gruppo che mira ad estendersi e ad affermarsi. Premendo così sulla buona fede dei due stilisti, rivolgendo, dunque, a loro favore quella “fuga” oltralpe, dettata da una giusta causa, l’abile stratega si è dimostrato un ingegnoso architetto dalla grande oratoria. Un’arringa però scaduta e banale, frutto di una moderna ars retorica, che arrampicandosi agli specchi raggiunge i suoi obiettivi con estrema facilità. Forse perchè trovare un pretesto è diventato al giorno d’oggi semplicemente semplice.