Mentre noi ci accaniamo fermamente contro Genny ‘a Carogna, protagonista della cronaca sportiva e non degli ultimi giorni, tanto da diventare una sorta di ripugnante star internazionale, e rivendichiamo, in tal modo e ancora una volta, l’immagine genuina ma sbiadita del gioco del calcio, orgoglio delle grandi nazioni europee, mentre, dunque, noi siamo intenti a estirpare, ipocritamente, il marcio di questo sport, c’è un’altra parte del mondo che piange per il sequestro di quasi trecento studentesse.
Mentre noi combattiamo una guerra seriale contro gli impostori degli stadi che hanno fatto del calcio lo zimbello di tutti gli sport, c’è chi ancora oggi lotta per la sopravvivenza, per un futuro negato, per la libertà di espressione e religione, per l’istruzione femminile. Sembra anche questa, come quella dell’Olimpico, un’immagine surreale, che ci riconduce alle antiche persecuzioni cristiane nell’impero romano, oggigiorno tanto paradossali, quanto reali. Ed è proprio in tale assurdità che, in realtà, si prende atto della regressione attuale.
Inammissibile appare, quindi, l’idea che, nello scorso aprile, più di duecentocinquanta ragazze cristiane siano state rapite nel dormitorio della loro scuola nel nord-est della Nigeria da un gruppo di islamisti guidati da Boko Haram e altre otto in questi giorni. Impossibile credere che siano state ridotte in schiavitù per essere poi vendute come “spose” di Allah, per il semplice fatto di essere cristiane. Inconcepibile pensare che alla base di una simile violenza ci sia una matrice religiosa, finalizzata alla conversione delle giovani studentesse all’islamismo. Imbarazzante leggere dell’inefficienza delle autorità nigeriane e, in risposta, dell’impegno della campagna web #BringBackOurGirls in favore della loro liberazione.
Assurdo, in fin dei conti, credere di vivere nel 2014, mentre la fanno da padrona frequenti episodi di intolleranza, che siano per fede calcistica o religiosa.