Castel Volturno, dove l’integrazione sembra una chimera

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C’è un paese, fra i tanti della nostra Italia, che, dimenticato dallo Stato, è tristemente noto per l’incessante guerriglia tra i suoi cittadini e la forte comunità di immigrati africani in esso presente.

È un paese diviso a metà, dove regna la sregolatezza, dove manca la legge, dove i suoi abitanti si fanno giustizia da soli per frenare un sistema ormai al collasso. È soprattutto un paese in cui la convivenza è difficile, spesso impossibile, a causa dei tanti extracomunitari irregolari, dell’illegalità vigente e di pregiudizi che, radicatisi nella gente del luogo, sono diventati la molla di una “faida” etnica inarrestabile.

È quello che accade a Castel Volturno, centro del casertano, dove a farne le spese sono la sua gente, i suoi figli, che vivono costantemente in un clima di tensione, paura, diffidenza e indifferenza. È, in particolare, l’epilogo infelice di una storia senza fine che arranca nella ricerca disperata e necessaria di integrazione e solidarietà, di mediazione e confronto tra le due comunità. È, ancora, l’espressione del dolore e del disagio degli abitanti di Castel Volturno, dove la cronaca degli ultimi giorni ha reso ancora più illusoria ogni possibilità di coesistenza. Ma è anche il bisogno di una minoranza di sentirsi accettata e di inserirsi nella vita sociale della cittadina sul litorale domizio. È infine il ritornello di una vecchia canzone, sempre uguale, eppure sempre attuale.

E chissà se Calvino lo avrebbe inserito mai nelle sue “Città invisibili”: così assurde, così strane.