Negli ultimi giorni più che mai la cronaca nera ha urlato al mondo che questo Paese versa in una condizione incurabile tanto che necessita di scusanti se ci si vuole divertire, ubriacare, se si vuole vivere.
Lo stupro di Palermo si aggiunge all’elenco infinito di donne calpestate e massacrate nella dignità e, ancora una volta, da prova della rabbia forcaiola che vive nella pancia dei più che hanno invocato la castrazione chimica e la pena di morte per il branco.
Nello scrollare nevrotico sui social a cui tutti siamo ormai abituati si avverte allora forte il clima barbaro in cui violenza chiama violenza e dove, invece, non c’è spazio per l’enorme emergenza educativa di cui questi commenti in rete sono l’esito. La veemenza dei commenti sul gruppo di stupratori non è da perdonare perché “dovete bruciare vivi” genera un circolo vizioso in cui la brutalità diventa prassi ma è di certo la conseguenza lampante di una cronaca che racconta di scarcerazioni incredibili, di pene ridicole e della totale incapacità di tutelare le vittime dopo eventi così traumatici. Continuare ad emettere sentenze assurde di secondi insufficienti, che tengano presente l’abbigliamento succinto o la sobrietà delle vittime, assieme alla mancata educazione sul concetto di consenso, di sessualità e dignità, da adito all’impostazione medievale della giustizia privata e feroce.
Io sto con la vittima e non con i carnefici con cui invece sta la giustizia italiana che ne deve ancora fare di strada prima di riconoscere nella violenza contro le donne un problema sociale sistemico.