Conflitto arabo-israeliano: confronto fra ieri e oggi

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La questione israelo-palestinese è complessa e ha diviso sempre l’opinione pubblica perché è un conflitto con origini lontanissime, ma resta un tema attuale perché non è mai stato risolto. Pertanto, è necessario fare un excursus storico. All’inizio la questione era apparentemente semplice: due popoli rivendicano lo stesso territorio. Gli ebrei-Israeliani ritengono di avere il diritto di controllare la Palestina perché è il luogo di nascita del popolo ebraico, mentre gli arabi-palestinesi sostengono che hanno vissuto lì prima degli ebrei-israeliani. Tutto iniziò con la guerra contro l’impero ottomano fu condotta dagli alleati in Palestina e in Mesopotamia. Per gli inglesi, che già occupavano l’Egitto, era vitale conservare il controllo sul Canale di Suez, estendendolo sulla Palestina, mentre il controllo della Mesopotamia era necessario per proteggere i pozzi di petrolio in Persia e per difendere l’India. Nel settembre 1915, le truppe britanniche, formate in gran parte da indiani, occuparono Bassora, mirando a Bagdad, ma incontrarono una forte resistenza turca presso la città di Kut. La guerra contro i turchi in Medio Oriente fu poi ripresa nel giugno del 1916 con la rivolta araba iniziata dallo Sharif della Mecca Hussein ibn Ali contro l’impero ottomano, dopo accordi segreti con gli inglesi, che gli fecero credere di assecondare la nascita di un grande Stato arabo indipendente. I figli di Hussein, Abdullah e Faysal, furono coadiuvati da alcuni consiglieri britannici, fra i quali il capitano Thomas E. Lawrence, che divenne poi famoso con l’appellativo di Lawrence d’Arabia. Successivamente, dopo la fine della Prima guerra mondiale, la Palestina fu affidata in mandato alla Gran Bretagna e nel territorio palestinese venne inclusa la regione desertica fra il Mar Morto e il Golfo di ‛Aqaba. Lungo il Mediterraneo i confini palestinesi furono segnati a Sud di Gaza dalla frontiera tradizionale con l’Egitto e a Nord di San Giovanni d’Acri da quella con il mandato francese del Libano. Nonostante il pensiero democratico di fondo, basato anche sul principio di autodeterminazione tanto voluto da Woodrow Wilson, i Mandati erano per lo più visti come delle colonie de facto. Vennero poi divisi in tre diversi gruppi a seconda del livello di sviluppo conseguito da ciascuna popolazione locale. La Palestina entrò a far parte dei cosiddetti mandati di classe A, ovverosia quelli che riguardavano le aree precedentemente controllate dall’Impero ottomano che si ritenevano avessero «raggiunto uno stadio di sviluppo in cui la loro esistenza come Nazioni indipendenti poteva essere riconosciuta». La storia della Palestina fu da quel momento in poi caratterizzata da divisioni, discordie, da episodi di violenza e di reciproca intolleranza. Queste drammatiche tensioni, entrate a pieno titolo in quella che viene definita questione palestinese, sfociarono in diverse rivolte. Nel biennio 1920-21 gli arabi cominciarono a manifestare il proprio dissenso, non solo per il problema dell’occupazione territoriale, ma soprattutto per la presenza religiosa sciita. La maggior parte del mondo islamico, infatti, era ed è di fede sunnita, e si differenzia dalla comunità sciita per la questione della successione alla guida della comunità islamica: i sunniti erano convinti che alla propria guida potesse accedere un qualunque musulmano, purché dotato di buona moralità, di sufficiente dottrina e sano di corpo e di mente; gli sciiti, invece, pretendevano che la guida della comunità islamica dovesse essere riservata alla discendenza del profeta. Il 19 aprile 1936 scoppiò la Grande rivolta araba, una ribellione che si allargò all’intero Paese. Solo dopo sei mesi, nell’ottobre del 1936, la violenza diminuì per circa un anno, finché nel 1937 la Commissione Peel deliberò di raccomandare la spartizione della Palestina fra ebrei e arabi, con un cambiamento rispetto alla linea politica fino ad allora seguita dai governi britannici. I palestinesi, che erano la maggioranza nella regione, rifiutarono la decisione Peel. Uno dei motivi principali del rifiuto era che questa operazione calata dall’alto avrebbe comportato il trasferimento dei circa 225.000 arabi presenti nel territorio assegnato agli ebrei. Con la fine del secondo conflitto mondiale, gli Stati Uniti si ritrovarono all’interno della commissione per la risoluzione del problema della ripartizione della Palestina. Il loro interesse nel redimere la questione rientrava all’interno delle nuove logiche di politica internazionale, sorte in seno allo scoppio della Guerra fredda, per la volontà britannica di rimettere il mandato britannico alle Nazioni Unite e anche perché la zona era ricca di giacimenti di petrolio.  L’ONU considerò due opzioni. La prima era la creazione di uno Stato ebraico e di uno Stato arabo indipendenti, con la città di Gerusalemme posta sotto controllo internazionale. La seconda, chiamata Risoluzione 181, consisteva nella creazione di un unico Stato, di tipo federale, che avrebbe compreso sia uno Stato ebraico, sia uno Stato arabo. La questione palestinese ebbe un risvolto sanguinoso fuori dal territorio nazionale in occasione dei giochi olimpici del 1972. Dopo la Guerra dei sei giorni, il 5 settembre 1972, alle 4 del mattino, otto membri di Settembre nero, un movimento affiliato all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Yasser Arafat, entrarono senza troppe difficoltà nel villaggio olimpico di Monaco di Baviera, città dove si stavano tenendo le Olimpiadi.  Aiutati a scavalcare la recinzione da un gruppo di atleti americani che avevano bevuto e non si resero conto di quello che stavano facendo, i terroristi fecero irruzione nella palazzina degli atleti israeliani: ne uccisero subito due (Moshe Weinberg, allenatore di lotta greco-romana, e Yossef Romano, specializzato nel sollevamento pesi, che avevano tentato di fermarli) e ne sequestrarono altri nove. Alle 5 del mattino iniziarono le trattative. I terroristi, con due fogli di carta lanciati dal balcone e raccolti da un poliziotto tedesco, chiesero la liberazione di 234 palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane e di due terroristi tedeschi, e pretesero tre aerei per lasciare la Germania. Nel frattempo, il cancelliere tedesco Willy Brandt aveva preso contatti con il primo ministro israeliano Golda Meir, la quale si oppose a qualsiasi tipo di trattativa e offrì semplicemente di inviare una squadra speciale per effettuare un blitz. La Germania scelse però di iniziare una lunga trattativa con i terroristi che avanzavano sempre nuove richieste e rimandavano di ora in ora l’ultimatum. Era sera quando si decise di far salire i terroristi con gli ostaggi su due elicotteri atterrati nel piazzale del villaggio olimpico per trasferirli alla base aerea di Furstenfeldbruck e da lì, come da loro richiesto, farli partire con un aereo per Il Cairo. Verso le 22.30 gli elicotteri con gli ostaggi atterrarono alla base: scesero i quattro piloti e i sei terroristi. Due di loro corsero subito a ispezionare l’aereo, ma si accorsero che era vuoto e tornarono di corsa agli elicotteri. Si trattava di una trappola: accanto all’aereo, la polizia tedesca voleva liberare gli atleti in un’operazione che si sarebbe rivelata fallimentare: mancava un numero sufficiente di uomini addestrati (gli agenti sul bordo della pista erano solo cinque) e mancavano le attrezzature necessarie per la riuscita dell’operazione. L’area venne illuminata e gli agenti aprirono il fuoco. La sparatoria durò circa un’ora. Un terzo elicottero con alcuni agenti di rinforzo atterrò a più di un chilometro di distanza da dove si stava svolgendo la sparatoria: quei poliziotti non entrarono mai in azione. Quando alla base aerea arrivarono i veicoli corazzati tedeschi, ai terroristi fu chiaro che non era più possibile fuggire e decisero di uccidere gli ostaggi. Con la fine della prima Intifada nel 1987, la svolta di Arafat in favore di una soluzione pacifica e la sconfitta di Saddam Hussein nella Prima guerra del Golfo resero più facile arrivare alla pace all’inizio degli anni Novanta. Il 15 novembre 1988 il Consiglio nazionale palestinese proclamava lo Stato di Palestina (con capitale Gerusalemme) e nel dicembre Arafat riconosceva esplicitamente Israele di fronte all’Assemblea generale dell’ONU; entro la metà del 1989 lo Stato di Palestina (del quale Arafat fu eletto presidente) era stato riconosciuto da oltre 90 nazioni. Il 13 settembre 1993 Arafat firmò sul prato della Casa Bianca la Dichiarazione di princìpi, la quale stabiliva che attraverso numerose tappe in un arco di tempo non superiore ai cinque anni si sarebbe dovuto giungere alla convivenza tra i due popoli in due diversi Stati, in base al principio della restituzione dei territori occupati alla rappresentanza palestinese in cambio della pace. Nel 1994 nasceva l’Autorità nazionale palestinese. Nello stesso anno venne firmato l’accordo definito Oslo II che prevedeva la creazione di tre aree:

  • la zona A sotto totale controllo palestinese;
  • la zona B a controllo misto;
  • la zona C sotto controllo israeliano.

Le trattative non portarono a nessun accordo. Scoppiò anzi la seconda Intifada, che ha bloccato ogni vero sforzo di pace. Nel 2006, dopo l’abbandono di Israele da Gaza, la guerra scoppiò di nuovo in Libano quando i militanti di Hezbollah catturarono due soldati israeliani e Israele reagì.

Ma che cos’è la striscia di Gaza?

La Striscia di Gaza è una porzione di territorio palestinese tra Israele ed Egitto, occupata da Israele nel 1967 durante la «guerra dei sei giorni» combattuta contro l’Egitto e governata da Tel Aviv fino al 2005, quando lo Stato Ebraico, sotto la guida dell’allora primo ministro Ariel Sharon, affidò il governo della Striscia all’Autorità Nazionale Palestinese, che era sotto il controllo dei moderati di Al Fatah, il partito di Yasser Arafat. Ma questi persero le elezioni del 2007 e il governo passò ad Hamas, anche se Israele controlla lo spazio aereo, marittimo e i confini, con tutti gli scambi commerciali e gli ingressi di persone. Dal 2012 l’Onu riconosce formalmente la Striscia come parte dello Stato di Palestina, entità statale semi-autonoma. In questo grande conflitto, ci sono stati vari tentativi di pace: gli accordi di Oslo avvenuti nel 1993. Nel 1993, i funzionari israeliani guidati da Yitzhak Rabin e i leader palestinesi dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina guidati da Yasser Arafat hanno lottato per trovare una soluzione pacifica attraverso il cosiddetto processo di pace di Oslo. Una pietra miliare fondamentale in questo processo è stata la lettera di Arafat riconoscendo il diritto all’esistenza di Israele. Nel 1993 gli accordi di Oslo furono conclusi come un quadro per il futuro delle relazioni israelo-palestinesi. Il punto cruciale di questi accordi era che Israele trasferisse gradualmente il controllo dei territori palestinesi ai palestinesi in cambio della pace. Il processo di Oslo fu delicato e aveva un punto critico con l’omicidio di Yitzhak Rabin e alla fine fallì quando Arafat ed Ehud Barak non riuscirono a raggiungere un accordo a Camp David nel luglio 2000. A luglio 2000, ci fu il tentativo del vertice di Camp David. Il presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton induce un vertice di pace tra il leader palestinese Yasser Arafat e il Primo Ministro israeliano Ehud Barak. Barak avrebbe offerto al leader palestinese circa il 95% della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, così come la sovranità palestinese su Gerusalemme Est e che 69 insediamenti ebraici sarebbero stati ceduti a Israele. Ha anche proposto il “controllo temporaneo israeliano” indefinitamente sul 10% del territorio della Cisgiordania in un’area che comprende molti insediamenti ebraici. È stato inoltre proposto di ridurre la capacità di assorbimento dei rifugiati palestinesi. Arafat ha respinto l’offerta. Il presidente Clinton ha richiesto rapporti per Arafat per fare una controfferta, ma non ha proposto alcuno. L’ex ministro degli esteri israeliano Shlomo Ben Ami, che ha tenuto un diario dei negoziati, ha dichiarato in un’intervista nel 2001, quando gli è stato chiesto se i palestinesi hanno presentato una controproposta. Successivamente ci fu il vertice di Taba. La squadra negoziale israeliana ha presentato una nuova mappa al Vertice di Taba a Taba, in Egitto, a gennaio 2001. Si decise di eliminare il “controllo temporaneo israeliano” in alcune aree e la parte palestinese l’ha accettato come base per futuri negoziati. Tuttavia, il Primo Ministro israeliano Ehud Barak non condusse ulteriori negoziati in quel momento e i colloqui si sono conclusi senza un accordo. Ci fu la road map per la pace avvenuta nel 17 settembre 2002, dall’Unione Europea, dalla Russia e dagli Stati Uniti D’America. Infine c’è stata l’iniziativa di pace araba, che è stata proposta per la prima volta dal principe ereditario Abdullah dell’Arabia Saudita al vertice di Beirut. È una proposta per una soluzione al conflitto arabo-israeliano nel suo insieme, e in particolare al conflitto israelo-palestinese. L’iniziativa è stata inizialmente pubblicata il 28 marzo 2002 al vertice di Beirut e concordata nuovamente nel 2007 al vertice di Riyad. A differenza della tabella di marcia per la pace, viene spiegata come una “soluzione finale” di confini esplicitamente basati sui confini delle Nazioni Unite stabiliti prima del 1967. Offre di normalizzare completamente le relazioni con Israele, in cambio del ritiro delle sue forze da tutti i territori occupati, incluso il Golan, e di riconoscere uno stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est come capitale della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, nonché un “giusta soluzione” per i rifugiati palestinesi. Numerosi funzionari israeliani hanno risposto all’iniziativa con supporto e critiche. Il governo israeliano ha espresso le sue riserve sulla “linea rossa”, su questioni come il problema dei rifugiati palestinesi, la sicurezza e la natura di Gerusalemme. Tuttavia, la Lega araba continua a mantenere l’iniziativa come possibile soluzione e si sono tenuti incontri tra la Lega araba e Israele.

Ad oggi, invece, cosa sta accadendo?

Alle 7.00 di mattina del 7 ottobre 2023 Hamas – il gruppo palestinese politica e paramilitare – ha iniziato l’operazione ’Alluvione al-Aqsa’, il cui intento è porre fine alle “violazioni israeliane”  ovvero quello che i palestinesi definiscono “la profanazione dei luoghi santi a Gerusalemme” e il costante rifiuto da parte di Israele di liberare i prigionieri palestinesi. Hamas ha attaccato Israele scaricando centinaia di razzi e missili sulle città nel Sud e nel centro del Paese e infiltrando terroristi nel territorio e definendo questo attacco “il giorno della grande rivoluzione”. In poche ore sono stati centinaia i morti e migliaia i feriti da entrambe le parti e Hamas ha preso in ostaggio numerosi civili e militari, in una guerra che non vede indietreggiare nessuno. Martedì 17 ottobre c’è stato l’attacco all’ospedale Al-Ahli  di Gaza city che è stato colpito da un missile causando centinaia di vittime. L’ospedale è stato colpito da un missile che ha fatto centinaia di vittime. Nelle ultime ore il presidente Biden ha incontrato Netanyahu. Il presidente americano si è schierato dalla parte dell’Israele.

Il dilemma è: il conflitto si risolverà? Troveranno un accordo?