In un corpo malato c’è un’anima ben curata! | di Chiara Festa

246

Era la sera del 25 dicembre. Che bello il Natale, doni, parenti, alberi, gioia e tutti vorremmo andar fuori o a giocare a carte o a fare gli auguri ad amici e parenti. Con un gruppo di ex colleghi, con cui condividevo la voglia di aiutare le persone, ed il senso di ingiustizia e di vuoto che la nostra professione, “non esercitata” in quel momento storico, ci aveva lasciato avevamo deciso che durante le festività del Natale avremmo passato una sera, a turno, a casa di una persona malata, a cui hanno tolto i soldi dell’accompagnamento e assistenza domiciliare.

Pensavamo fosse giusto che il Natale fosse per tutti, anche per chi soffre, anche per chi non soffre sulla propria pelle ma si strugge per un figlio, per un padre, per una sorella malati. Carmine aveva l’elenco dei disabili, con indirizzi, numeri di telefono e delibere per svolgere attività di volontariato, si perché in Italia, ci vogliono iscrizioni , documenti, abilitazioni pure per fare volontariato! E se lo fai in privato è meglio se no o offendi un’associazione o la diretta concorrente. Proprio così, perché, talvolta, anche nel volontariato gli interessi materiali spadroneggiano sull’interesse per gli esseri umani, purtroppo!

Io scelsi di dare tre notti di disponibilità per stare accanto ad un malato di SLA (per i non addetti ai lavori, Sclerosi Laterale Amiotrofica. ). Alberto ha due figli , la prima si chiama Marinella e ha dovuto lasciare un lavoro da segretaria di ufficio legale associato, per stare accanto al papà, due figlie, 8 e 12 anni! Il minore si chiama Diego ed ha solo 21 anni, con la sorella fa i turni per poter stare vicino al padre. Fa qualche lavoretto saltuario per arrotondare un bilancio familiare molto fragile, già prima del taglio dell’accompagnamento! Piove sempre sul bagnato a quanto pare, sia nel bene, che nel male!

Alberto è rimasto vedovo a 47 anni, sua moglie è morta di cancro 4 anni fa e da allora, i figli hanno fatto le veci della madre, affrontando il dolore del lutto materno, rapidamente e con forza straordinaria, per aiutare il padre. Arrivai nella casa al primo piano di Contrada Baccanico, il cognome corrispondeva, erano le 22 e 30! Dietro la porta una ragazza sulla trentina , sembrava più piccola di me, ma nei suoi occhi leggevo una maturità e una rassegnazione molto più annosa di quanto l’anagrafe potesse rivelare! Marinella aveva il marito che lavorava a Roma! “Fortuna che è Natale – mi disse – così lei può conoscerlo! Quando arriva mi riposo un pochino!”.

A carico di Marinella , tranne che per feste comandate e due fine settimana al mese, c’erano le faccende domestiche, le figlie da accompagnare a scuola e seguire nei compiti, il padre immobilizzato, la cucina ed una serie di faccende burocratiche a cui ottemperare, per non parlare delle siringhe, le flebo il Pc supertecnologico del papà da aggiornare. Peccato che di lì a poco i soldi non le sarebbero bastati per navigare in internet….

Tutta la famiglia, mi accolse a braccia aperte e mi offri di tutto la tavola era imbandita con tovaglia rossa, panettoni, pandoro e spumante. Nell’angolo un albero di Natale pieno di fiocchi rossi e argentati! …sembrava quasi una famiglia come tutte le altre! Chiacchierammo dell’ingiustizia della decisione dell’A.S.L. di sospendere gli ottocento euro di accompagnamento più assistenza infermieristica tre volte a settimana per 6 ore, decisione che stava trasformando la vita di una giovane donna e di un ventenne spensierato in una galera ! Nessuno dei due poteva uscire se l’altro non era in casa, nessuno dei due riusciva più a passare una serata fuori con gli amici, a vedere il cinema, a uscire con i cugini ma, spesso, Marinella si trovava senza poter fare la spesa o senza il tempo di andare a comprare le medicine. Fare la spesa per tutta la settimana per 5 persone era dura senza la macchina, le buste pesano tanto. Soprattutto quelle con gli omogenizzati.

Omogenizzati, proprio così, perché questo era il cibo di Alberto che, nei momenti di crisi, veniva alimentato con un sondino! Non è vita pensai, non quella di Alberto, non è vita quella dell’intera famiglia. Avrei voluto urlare e andare dall’Assessore alla salute, per vedere come lui stava invece, trascorrendo il Natale e sfasciare il suo bell’albero e le sue lussuose decorazioni, e, ancora di più avrei voluto arrivare a chi “comandava” in Regione, e poi fino al Governo Centrale.

Ero triste ma anche arrabbiata; più arrabbiata che mai. Mentre ero persa in questi pensieri di “ribellione” ebbi tanti ringraziamenti che rifiutai, io stavo facendo il mio dovere di cittadina, io ero solo una dei tanti che cercano di cambiare le cose. Cercai di dirlo e ribadirlo che non si dovrebbe scambiare un atto DOVUTO per un favore superfluo! “Non dovete dire grazie per un vostro diritto, ora presentatemi vostro padre e uscite sereni, passate anche tutta la notte fuori, non preoccupatevi di nulla, stanotte andrà tutto bene, ci sono io!”.

La prima cosa che mi colpii furono gli occhi azzurri e vivaci di Alberto. Poi mi accorsi della quantità di macchinari attaccati a lui, che facevano le veci dei suoi organi interni collassati, e che facevano le veci della sua voce, delle sue mani, del suo “comunicare una soave e poetica percezione del mondo” anche immobile in quel letto ferriginoso!

Alberto insegnava Italiano e storia, ed era un appassionato di filosofia e poesia. Lo scoprii quasi immediatamente dal tintinnare dei tasti di quel telecomando, un telecomando che non aveva numeri ma lettere per scrivere. Sullo schermo grigio apparve una scritta verde: “il tuo sorriso si espande come una farfalla”. La tensione si era sciolta. Sorrisi e risposi prontamente: “O le piace la poesia di Neruda o semplicemente ha visto il postino di Massimo Troisi”. Mi rispose con lo schermo “Adoro romanticisti e crepuscolari”, ma il suo sorriso e la luce nei suoi occhi mi hanno fatto venire in mente banalmente la strofa più celebre di una delle poesie più belle al mondo.

Marinella e la sua famiglia mi illustrarono i vari macchinari, la valvola dell’ossigeno, il cardiocronometro, le fiale da mettere nella flebo successiva. Mi congedai rassicurandoli, “conosco bene questi macchinari, l’unica cosa che mi stupisce è questo computer che è la memoria il pensiero e la voce di vostro padre”. Marinella mi aveva lasciato una serie di istruzioni scritte per ogni piccola esigenza o per le emergenze. Quando mi salutò e sentii finalmente la porta chiudersi dietro di me pensai di raccontare tramite quell’indice della mano destra, unico arto che Alberto muoveva, un po’ della sua vita. Fu lui però a propormi un gioco. Avremmo fatto come ne “Il postino” di Massimo Troisi, avremmo composto poesie tutta la notte, lui interpretava Neruda e mi chiese “Come sono i pensieri?” – “Liberi come delfini” risposi. E lui “E quando sono tristi?”, e io “Si intrecciano e si annodano come i lunghi capelli di una donna, col vento”.

Scherzammo e ridemmo, il monitor sembrava impazzito. “Alberto” affermai con un sorriso, “Ma quanto parlavi prima? Io sono logorroica ma tu non scherzi!” E lui mi disse con gli occhi luccicanti e un mezzo sorriso appena accennato “Quando potevo parlare parlavo poco, pensi sempre che la voce sia un dono scontato almeno se ci sei nato. E sai che ti dico? Ben mi sta perché ora che ho più tante cose da dire sono costretto a scriverle!”. Gli sorrisi ma dentro di me ero commossa, non era la prima volta che incontravo una persona malata nel corpo che in compenso era dotata di sensibilità, cultura, saggezza e un’intelligenza e un’ironia fuori dal comune.

Avevo conosciuto l’anima straordinaria di un corpo quasi vinto dalla malattia e la sua meravigliosa famiglia. Da quella sera, ogni festa comandata, mi faccio assegnare ad Alberto ed alla sua famiglia perché, pur sapendo di non poter aiutare tutti, porre rimedio all’ingiustizia da lui subita e concedere fiato alla sua famiglia anche per poche ore, è il mio modo di protestare contro una politica autoreferenziale che premia i primi e affossa gli ultimi.