Rimbalza da un sito all’altro la notizia della sofferta decisione di Angelina Jolie.
Avrà fatto il giro del mondo smuovendo coscienze, suscitando disapprovazione, donando speranza e poi sarà ritornata proprio lì, da dove è partita, restituita all’intimo dolore dell’attrice, della donna prima di tutto. Una di quelle storie che lasciano l’amaro in bocca, inverosimili eppure così ordinarie, comuni, gestite nel silenzio delle debolezze o vissute apertamente. In entrambi casi sempre e solo con coraggio.
Una confessione che arriva dal New York Times come una doccia fredda, dopo una settimana dall’operazione quasi a rincuorare chi quotidianamente lotta nell’anonimato. È il cancro la bestia feroce da allontanare e Angelina ci riprova a distanza di due anni da una doppia mastectomia con la rimozione delle ovaie e delle tube di Falloppio, costringendola a una menopausa forzata all’età di 39 anni. Causa di tale scelta l’elevata possibilità di ammalarsi, ridottasi notevolmente dopo il nuovo intervento.
L’attrice ha così perseguito fedelmente la strada del “meglio prevenire che curare” o, come l’ha definita lei, de “la conoscenza è potere”, affermandosi quale nuova icona nella lotta al cancro. Secondo la Jolie la mutilazione precauzionale, a cui è ricorsa, potrebbe aprire gli occhi e le menti sull’esistenza di diverse forme di prevenzione ed essere soprattutto da esempio per numerose donne. Il gesto, tanto forte quanto opinabile, sembra, dunque, aprire uno spiraglio di luce, ponendo i presupposti per una nuova battaglia, in cui audaci guerriere potrebbero giocare di anticipo sul nemico, ma sacrificando una parte di sé.
Sono moderne amazzoni, in alcuni casi, proprio come le donne della mitologia greca, quelle stesse che per combattere al meglio si mutilavano il seno destro. Sono guerriere consapevoli di un necessario iter preventivo, pronte a tutto, preparate su tutto, e accompagnate e sostenute da medici più coscienti.