Gianvito Bello è stato per lungo tempo uno degli attori principali sulla scena politica sannita. Poi si è defilato, progressivamente. Fino a chiamarsi fuori. “La politica resta una passione, mi ha dato tante soddisfazioni ma è un capitolo chiuso”. Tutte le “energie”, oggi, sono quindi concentrate sul suo studio di ingegneria.
Il suo punto di vista sul Sannio da questa diversa prospettiva?
“Vedo diversi settori importanti in difficoltà, ma a preoccuparmi maggiormente è il timore che il territorio non riesca a cogliere le opportunità di sviluppo che in questo momento l’Europa offre, con il Pnrr e non solo. Si insiste con progetti isolati, ‘slegati’ l’uno dall’altro, privi di un filo conduttore. L’idea di mettere a sistema le opportunità di finanziamento non c’è. E noto anche uno scollegamento tra le istituzioni e il mondo imprenditoriale. E’ chiaro che in questo contesto il pericolo di perdere un’ulteriore occasione è reale. Volendo sintetizzare, diciamo che manca una regia”.
Chi è venuto meno, in particolare?
“La politica in primis. Ma è un dato nazionale, non soltanto locale. Quanto a noi, è chiaro che la Provincia – con tutto quello che è successo negli ultimi anni – ha perso il ruolo di guida che prima aveva in termini di programmazione. La riforma, come immaginavo, si è rivelata essere un progetto scellerato”.
All’ordine del giorno, però, c’è la ‘controriforma’: il ritorno alle ‘vecchie’ province
“Sì ma il danno è stato fatto e occorreranno anni per ripararlo. E il Sannio ha pagato un prezzo enorme, perdendo ancora di più peso nei processi regionali. Insieme ad Avellino siamo diventati sempre più marginali”.
Anche per lei il Sannio fa bene a lamentarsi per la scarsa attenzione della Regione?
“No, direi il contrario. Non dovevamo aspettarci noi maggiore attenzione da parte della Regione Campania – questa è una scuola di pensiero che non mi convince -, piuttosto è mancata la capacità del territorio di inserirsi nella programmazione regionale. In che modo? Proponendo e programmando di più. Per capirci, oggi gli enti, dai Comuni fino alla Provincia, non hanno progetti esecutivi da proporre. Se siamo fuori dalle scelte più importanti sul piano strategico è soprattutto perché non siamo stati bravi a ritagliarci un ruolo, non perché altri non hanno voluto riconoscercelo”.
L’ultimo suo impegno istituzionale lo ha vissuto proprio alla Provincia, da assessore alle Energie
“A prescindere dal fatto che ci fossi io, sul tema la Provincia assunse un ruolo di coordinamento importante, come testimoniato dall’approvazione dei Piani Energetici in 60 comuni del Sannio. E ancora, all’epoca si gettarono le basi per parlare di trasporto sostenibile, per dirne una, e affrontammo – anche dal punto di vista culturale – tematiche che all’epoca erano soltanto accennate e che oggi sono divenute centrali. Pure qui, però, non si è continuato. Faccio un esempio: l’agroenergia, un campo lasciato all’iniziativa dei singoli ma che invece meriterebbe programmazione. Il risultato sarà che arriveranno domande su domande e saremo preda di iniziative che lasceranno poco sul territorio”.
E per l’eolico? Ha seguito la discussione di queste settimane?
“La discussione di oggi è una conseguenza di quello che dicevo prima. In assenza di un Piano Energetico provinciale nessuno può sapere se la produzione che genera oggi l’eolico nel Sannio è troppa o troppo poca. Sento dire spesso che la nostra provincia è satura: io che di questi temi mi occupo per professione non saprei dirlo, perché il fabbisogno non è mai stato individuato. Vale pure per la Diga di Campolattaro, altro progetto che andrebbe affrontato con un approccio diverso”.
In che senso?
“Si parla tanto dei finanziamenti ma non si discute né della gestione né delle opportunità che si possono produrre. Oltre che fare bene all’ambiente, gli investimenti energetici devono fare bene al territorio, devono avere una ricaduta. E invece quando si parla di eolico si pensa ai vantaggi per il Comune, quando si parla di solare al ristoro per chi cede il terreno: è troppo poco. E per la Diga – che rappresenta un’occasione irripetibile – corriamo lo stesso rischio. Dovremmo sapere, allora, cosa accadrà in termini di utilizzo delle acque, cosa accadrà con l’idroelettrico. Ma questo se ne parla poco o per nulla”.
Tornando al suo impegno politico, le ragioni del suo disimpegno?
“Ho cominciato che avevo 15 anni, con la prima tessera al Partito Socialista. Ho avuto la fortuna e il piacere di fare l’amministratore comunale, l’amministratore provinciale, di guidare società ed enti. Tante esperienze belle. Ma ora la politica è cambiata ed è giusto lasciare il passo. Se poi mi chiedi se è cambiata in meglio o in peggio la risposta è nei fatti: trascorsi trent’anni dalla fine della Prima Repubblica siamo ancora in attesa di un riassetto, ancora in preda alla confusione”.
Quindi non c’è spazio per un suo ritorno?
“No, la politica è un capitolo chiuso. Sono impegnato come professionista e sono felice di ciò che sto facendo. Continuo a guardarla con interesse, a parlare con qualche mio amico che fa il Consigliere ma niente di più”.
E allora, visto che è fuori dalla politica, un consiglio a chi amministra le istituzioni sannite può darlo, nessuno la taccerà di partigianeria
“Si parla troppo poco: poco tra amministratori, poco tra chi opera sul territorio, poco con la Regione, con i Ministeri. Vedo tanti individualismi, manca la collettività”.