Qualsiasi spiegazione, assurda o verisimile che sia, non basterà a giustificare l’inchino della Madonna delle Grazie nella processione dello scorso 2 luglio a Oppido Mamertino. Dinanzi all’abitazione di Giuseppe Mazzagatti, il boss ottantaduenne della ‘ndrangheta già condannato all’ergastolo per omicidio e associazione mafiosa, e ora agli arresti domiciliari per motivi di salute, il corteo della tradizionale processione della Madonna delle Grazie ha sostato per circa mezzo minuto prima di riprendere nuovamente il percorso. Non è la prima volta che in Calabria si assiste a un episodio così riluttante e, probabilmente, non sarà nemmeno l’ultima.
Mafia e religione tornano così a intrecciarsi tra loro in un deplorevole connubio a circa due settimane dalla scomunica dei mafiosi da parte di Papa Francesco nella sua visita pastorale a Cassano allo Jonio. La presenza mafiosa nei rituali religiosi è ormai diventata sempre più massiccia, l’omertà di certo non aiuta e così le statue dei santi si inchinano sempre più spesso per omaggiare i malviventi.
Sembra, questo, il triste epilogo di un film drammatico, immagine sbiadita di tempi lontani. Invece è solo l’incresciosa realtà calabrese, riflesso di un mondo retrogrado, dove un simile gesto è ancora oggi il simbolo della sottomissione al potere e del rispetto verso i boss locali. Al di là delle reazioni, quelle dello Stato, dei carabinieri, dei cittadini, stupisce il fatto che sia ancora possibile una simile riverenza. Colpisce il silenzio, l’indifferenza, la libertà con cui è stata gestita la processione, tali da suscitare le polemiche più aspre.
E nel frattempo, mentre ci perdiamo in futili “scaricabarile”, dando un nome e un volto a chi ha indirizzato l’inchino, il legame tra capiclan e sacramenti si consolida ulteriormente, grazie soprattutto a un popolo docile e complice.