Quella che si conclude oggi può essere ribattezzata come la settimana della “grande bellezza” e dei suoi diversi modi di intenderla. In questi ultimi giorni, infatti, il tema caldo della bellezza è ritornato alla ribalta e, apertosi come scatole cinesi, passando anche dalla cronaca, è arrivato fin sul palco dell’Ariston giovedì sera. Così siamo stati risucchiati, chi più, chi meno, da un vortice di notizie e riflessioni sul bello.
Sconcertati, abbiamo assistito qualche giorno fa alla morte della miss venezuelana nella protesta anti-Maduro. La sua foto, che immortala la giovane ferita trasportata in motorino, ha fatto il giro del mondo, costringendoci ad aprire gli occhi sull’inutilità della celebrazione dell’apparenza, tanto cara alla nostra società, e che a nulla serve, come mostra la crisi socio-economica in Venezuela, dove essere modella e anche miss non è bastato a fermare le violenze.
Poi abbiamo appreso en passant da un servizio di coda di qualche tg il ritorno della settimana della moda milanese con la Fashion Week 2014 e le sue nuove tendenze per il prossimo autunno-inverno, che abbiamo accolto con un algido sorriso. E in ultimo siamo stati stregati, nella terza serata di questo Festival di Sanremo, dal monologo della Littizzetto sul suo ideale di bellezza. Oltrepassando gli stereotipi della convinzione comune, per la quale la bellezza è prima di tutto un fisico scolpito e una piacevole presenza, le riflessioni della presentatrice torinese hanno spaziato dalla critica all’idea del bello, impostata dalla società e fondata sul concetto di normalità e omologazione, all’esaltazione dell’eterogeneità. La Littizzetto, dunque, ha smontato il falso mito del “bello e impossibile” e con i piedi ben saldi al palco dell’Ariston – anzi, con il sedere – ha ricordato che la bellezza non esiste se non nella diversità e varietà.
Un invito, quello partito dal Festival, a superare le barriere del dilemma shakespeariano, a essere meno apparenza e più sostanza, e un’avvertenza sulle nuove tendenze culturali, dove fuori moda sembra essere ormai la cara vecchia e ricercata normalità, bandita al motto de “il mondo è bello perché vario”.