Se la mafia non guarda più in faccia neanche i bambini

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Là dove l’illegalità la fa da padrona, a pagare il prezzo più alto sono loro, i bambini, sulle cui spalle pesa un’unica colpa, quella di essere figli, nipoti, lontani parenti di pregiudicati e pentiti. Bambini trovatisi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non pochi, infatti, i nomi delle vittime innocenti della mafia. Giuseppe, ad esempio, aveva quattordici anni, quando dopo tre lunghi anni di prigionia nel palermitano fu ucciso e sciolto senza pietà nell’acido. Cocò, invece, ne aveva solo tre di anni e la sua tenera età non è bastata a salvarlo da un’esecuzione spietata a Cassano Ionio, prima un colpo alla testa e poi l’incendio dell’auto in cui il piccolo si trovava con il nonno, vero obiettivo dei killer. 

Mentre l’ultimo agghiacciante episodio ha solo poche ore. È l’ingiusta fine di Domenico, anche lui di tre anni appena e con un destino già segnato. È la storia di una faida tarantina che già nel 2011 uccise in un agguato il padre del piccolo e nella quale dopo tre anni a farne le spese più grandi è un innocuo bambino. La cronaca più spietata, di cui quelli citati sono solo alcuni dei tanti episodi, ci pone di fronte a una cruda realtà. Vite spezzate senza un motivo, occhi grandi, dolci e puri spesso vittime di una vendetta trasversale, che fa paura e che sa di marcio. Perché la mafia non risparmia nessuno e colpisce i più fragili e più deboli per arrivare dritto al cuore dei suoi obiettivi.

La sua è una spietata vendetta che, repressa l’umanità e ogni forma di rispetto, disgustosamente e volontariamente scarica la sua brutale ferocia soprattutto sui bambini. Sfatato, dunque, il mito secondo cui il codice d’onore impedirebbe a un mafioso di uccidere donne e bambini, si fa sempre più chiara una triste consapevolezza: nel mirino della criminalità organizzata i bambini, in primis, rappresentano una facile e accessibile preda, debole quanto fragile per la loro innocenza.