Sanremo, il giorno dopo: le luci della ribalta fanno troppe ombre

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È mancata solo la sigla iniziale di “Che tempo che fa”. Con quella, questa sessantaquattresima edizione del Festival di Sanremo sarebbe stata una perfetta estensione del programma in onda su Rai Tre il sabato e la domenica sera.

Infatti, il buon Fazio non si è discostato di molto da quell’atmosfera pacata tipica del suo talk show, per la quale i troppi “momenti morti”, fatti di silenzi e imbarazzi, hanno rallentato uno spettacolo già poco “rock”. E a nulla è valsa l’irruenza di una Littizzetto che non si smentisce mai, neanche davanti a milioni e milioni di telespettatori su un signor palco. A suon di parolacce e battute fuori luogo, emblema di una volgarità gratuita, forse un po’ per carattere, forse un po’ per riscaldare l’atmosfera delle piatte serate sanremesi, la conduttrice non ha fatto altro che gettare benzina sul fuoco, alimentando le fiamme della tanto criticata tv spazzatura. E se qualcuno ha chiuso un occhio per il linguaggio scurrile e inappropriato della Littizzetto, sempre pronto a emergere con troppa facilità, di certo non si sarebbe potuto chiudere anche l’altro per i suoi look. La sobrietà ha fatto da padrona nello stile sanremese della conduttrice, vere e proprie opere d’arte di pizzi, rasi e tulle hanno ammutolito anche le bocche più critiche ma l’ostentato nero, fatta eccezione per l’overture della prima serata e dell’ultima apertasi con una “Lucianina” di bianco vestita, ha reso ancora più cupa l’atmosfera del Festival. Insindacabilmente il colore dell’eleganza, ma meno nero e più spazio alle tonalità accese non avrebbe guastato.

Neppure i superospiti sono riusciti a risollevare le sorti, segnate sin dall’inizio, di un Sanremo noioso e poco originale. Nessuna attesa clamorosa e vecchi protagonisti della musica nazionale e internazionale rispolverati e ricondotti sul palco a ingessare ancora di più l’aria di vecchio di questo Festival. Nemmeno Crozza, onde evitare l’insuccesso dello scorso anno, ha preferito esporsi troppo prediligendo ai temi a lui più congeniali un monologo sulla bellezza e sul talento dell’Italia, smuovendo gli animi a un’insurrezione contro…il suo stesso intervento. E non da meno è stato Ligabue che ha trasformato la manifestazione della canzone nazionalpopolare italiana in un concerto da stadio per soli due suoi successi canori. A ciò si aggiunge la delusione profonda e la spietata polemica per il mancato podio del Renga nazionale e la preannunciata vittoria di un’Arisa spogliatasi delle vesti del simpatico personaggio di “Sincerità” e sempre più omologata alle tendenze del momento.

Sanremo è e sarà Sanremo, ma probabilmente non più così tanto da contribuire a definire la storia della musica italiana. Ormai lo spettacolo è altro.