Il marchio “Shein” continua a far parlare di sé. L’azienda di vendita online di fast fashion cinese, fondata da Chris Xu a Nanchino, nasce nel 2008 e, ad oggi, il brand è riuscito a guadagnarsi il favore della Gen Z (e non solo) grazie a una strategia aggressiva su tutti i fronti: marketing, produzione, impatto ambientale e umano.
Cosa si nasconde dietro il marchio “Shein”?
Il termine “Fast Fashion” indica una moda <
L’azienda, infatti, ha stabilito la propria sede a Guangzhou dieci anni fa, nel 2013, e contava solo 100 dipendenti. Dopodiché, è letteralmente esplosa: nel 2020, in piena pandemia, Shein ha fatturato 10 miliardi di dollari, aumentando le vendite di oltre il 100% per il settimo anno di fila. A novembre del 2021 il valore di Shein è passato a 30 miliardi di dollari. Oggi, vale oltre 60 miliardi, più di Adidas, H&M e Burberry messi insieme: un risultato incredibile raggiunto anche grazie all’aiuto dei social network, in particolare Instagram e Tik Tok e grazie al lavoro di pubblicità svolto dagli influencers del momento.
Dunque, il marchio “Shein” sembrerebbe essere la svolta del secolo che permette a migliaia di persone di sentirsi alla moda senza spendere un occhio della testa, ma quello che non viene considerato è che tutto ha un “costo” e quindi se un vestito viene venduto a 7 euro, esiste comunque un “prezzo da pagare”.
A tal proposito, le indagini condotte negli scorsi anni sono riuscite a delineare quali siano le criticità che si nascondono dietro il brand e i suoi costi ridotti:
- La violazione dei diritti dei lavoratori. Persone costrette a lavorare 18 ore al giorno, con un giorno libero al mese, per 500 euro al mese o 4 centesimi a capo, perfino con una riduzione notevole della paga in caso di errori. I ritmi di produzione inarrestabile sono inoltre un’altra fonte di stress per i lavoratori. Basti pensare che ogni giorno l’azienda carica sul proprio sito tra i 2000 e 10mila articoli, più di ogni altro competitor e il tutto risulta essere aggravato da situazione igieniche discutibili, come le donne ridotte a lavarsi i capelli in pausa pranzo.
- Gli indumenti tossici e nocivi. Se i lavoratori non sono tutelati, è necessario che i consumatori prestino attenzione. Un recente studio di CBC Marketplace ha rivelato che alcuni prodotti di Shein contengono piombo, PFAS e ftalati. Su 38 campioni di abbigliamento e accessori per adulti, bambini e premaman, un articolo su 5 presentava un’elevata quantità di queste sostanze chimiche dannose. Per esempio, una giacca per bambini di Shein esaminata dagli scienziati, conteneva quasi 20 volte la quantità di piombo che “Health Canada” considera sicura a contatto con i bambini. Inoltre, alcune sostanze chimiche utilizzate nei prodotti superano i limiti della legge UE. e la pelle, a contatto prolungato con queste sostanze, le assorbe, andando a danneggiare l’intero organismo. Infatti, i coloranti azoici largamente usati perché hanno colori brillanti e poco costosi, possono rilasciare ammine aromatiche potenzialmente cancerogene. Per questo il loro uso in Europa è vietato dal 2002. Ma Shein non produce in Europa.
- La creatività rubata. La capacità di replicare design visti in passerella a prezzi ridotti è una caratteristica che accomuna tutto il fast fashion, ma anche in questo caso Shein ha il primato di mettere in vendita dopo soli tre giorni i capi ispirati alla moda del momento, anticipando di molto i tempi di distribuzione del brand che l’ha ideato per primo.
- La violazione dei dati personali. Un’indagine della BBC ha riportato che il proprietario di Shein ha ricevuto una multa di 1,9 milioni di dollari per violazione dei dati degli utenti: nomi, indirizzi email, password, informazioni sulla carta di credito di 39 milioni di clienti.
La popolarità del marchio desta dunque una notevole preoccupazione sebbene non sia l’unico ad agire adottando tali meccanismi. Shein però sembra riuscire dove altri falliscono: agisce sulla mentalità del consumatore e sull’approccio all’acquisto tanto da rivoluzionare, in negativo, la concezione di qualità e creatività in favore della gratificazione istantanea. A pagarne le conseguenze sono maggiormente i giovani, bombardati di messaggi mediatici e pubblicità, talvolta implicite, presenti su tutti i social network.
Quali sono le strategie da adottare per combattere il fenomeno del “Fast Fashion”?
E’ necessario che ognuno di noi faccia la propria parte per promuovere una moda più sostenibile che non danneggi il corpo umano e l’ambiente circostante. Ciò può essere fatto adottando delle strategie specifiche:
- Acquistare capi realizzati con materiali ecologici.
- Promuovere la diffusione dei mercati dell’usato per favorire lo shopping sostenibile ed economico.
- Fare in modo che le aziende riducano la loro impronta CO2 andando incontro a decisionei rispettose dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori.
- Informare i consumatori circa l’origine dei prodotti attraverso un <
>. - Promuovere l’educazione ambientale nelle scuole.
La consapevolezza delle nostre azioni è dunque alla base del cambiamento. Agire responsabilmente e con criterio può contrastare l’emergenza mondiale di cui siamo protagonisti.