RIMINI – A dieci anni e mezzo dalla sua tragica scomparsa, che gettò nello sconforto milioni di tifosi e appassionati di ciclismo, potrebbe emergere una nuova verità sulla fine di Marco Pantani.
La Procura di Rimini, infatti, ha riaperto il caso. Il procuratore Paolo Giovagnoli ha ripreso i faldoni dall’archivio, modificandone l’ipotesi investigativa: non più “morte come conseguenza accidentale di overdose”, ma quella clamorosa e inquietante di “omicidio volontario”. Il fascicolo, coperto dal più assoluto riserbo, è ora nelle mani del pm Elisa Milocco, ed è stato riaperto a seguito delle insistenze della mamma del Pirata, Tonina Pantani, che ha sempre sostenuto l’ipotesi dell’omicidio e che ha ora consegnato un’indagine difensiva condotta dal suo legale, Antonio De Rensis.
La morte di Pantani è sempre stata avvolta nel mistero: l’archiviazione non fu accettata con serenità dalla famiglia e dai suoi tifosi, certi che qualcuno avesse voluto tagliare le gambe ad un ciclista che a colpi di pedali stava riscrivendo la storia di questo sport. Negli anni, sono stati pubblicati volumi e interviste che hanno sempre aggiunto particolari a quella giornata e alla situazione trovata nella stanza dell’Hotel delle Rose di Rimini. Le indagini difensive sono partite proprio da questo: ascoltando, poi, professionisti e tetimoni, sono giunte ad una conclusione ritenuta “molto più plausibile” rispetto a quella ufficiale ed archiviata. L’architrave di tutto questo è la perizia che il medico legale, il professor Francesco Maria Avato, ha condotto sul cadavere di Pantani: “Le ferite sul corpo del ciclista – è la conclusione dello studio – non sono auto procurate, ma sono opera di terzi”.