Suarez come Hannibal. E la rete si scatena

575

È finito il sogno italiano, un sogno infrantosi nell’arco delle tre partite del girone D. Tra le lacrime di coccodrillo, profonda è la delusione e tanta l’amarezza per gli azzurri che si preparano a lasciare – troppo presto – il Brasile.

Ecco, così, il triste epilogo che nessuno si aspettava, quello di un’Italia stretta tra le vecchie glorie del 2006 e l’evidente inesperienza dei ventenni. Ma, soprattutto, è finita nei peggiori dei modi, dall’espulsione di Marchisio al colpo di testa di Godin dell’uno a zero, dall’osceno arbitraggio alle dimissioni di Prandelli e Abete. Un fallimento totale, dunque, una disfatta umiliante, un’Italia poco promettente e agguerrita, che non convince più come una volta, ma sicuramente condizionata nella sua capitolazione dagli episodi, che hanno reso il nostro Mondiale solo un lontano ricordo. Per lei di nuovo un amaro finale, proprio come quello sudafricano, che diventa ancor più cocente dopo il morso di Suarez sulla spalla di Chiellini, sfuggito invece alla sconsideratezza arbitrale. Pare che il vizietto di mordere i suoi avversari sia una peculiarità del “Pistolero”, protagonista di altri episodi simili, tanto da fare questa volta il giro del mondo, diventando immancabilmente virale sui social network. Il web ha infatti scatenato la sua fantasia, in cui l’ironia la fa da padrona con i paragoni più assurdi, come il fotomontaggio di Suarez con i denti alla Dracula, o in veste di Hannibal Lecter con tanto di maschera-museruola, o ancora con l’accostamento a Mike Tyson e al tentativo di staccare un orecchio al suo avversario durante un incontro di pugilato nel 1997, dando anche voce ai severi ammonimenti di tanti sportivi che hanno espresso il proprio disaccordo e condannato con ripugnanza l’ingiustificato gesto del “Pistolero”.  

Così, dopo l’abbandono dell’avventura brasiliana, la nostra unica magra consolazione può provenire solo dalle decisioni ultime della Fifa, che ha avviato le procedure disciplinari contro il nuovo Dracula. Attendiamo, dunque, “l’ardua sentenza”, illudendoci che quella almeno possa servire ad alleviare leggermente la delusione. In fondo dopo la testata famosa, non poteva mancare il morso della disfatta.