Il 15 di aprile del 1967 Antonio De Curtis, in arte Totò, si spegneva per infarto nella sua casa di Roma. Il suo cuore, però, non ha ceduto di schianto, ma lo ha avviato ad una agonia abbastanza lenta, dolorosa, aggravata da uno stato di lucidità mentale che non lo ha abbandonato fino alla fine. Voleva che lo si conducesse a morire nella sua Napoli, come rivelò la figlia che era al suo capezzale.
Aveva trovato il coraggio di scherzare anche al cospetto della morte: “Portatemi a Napoli, perché io sono cattolico, apostolico e napoletano”.
Come aveva predetto, la sua morte fu seguita da una celebrazione retorica senza pari. Soltanto quando con lui si spense la sua parola gli fu riconosciuta la qualifica di grande attore da parte della critica saccente, che fin lì gli aveva dato del guitto, dell’attore commerciale, rimproverndogli di strizzare l’occhio al popolino. Quello stesso popolo dei bassi partenopei che abitava il quartiere Sanità, nel cui seno era germogliato ed al quale aveva attinto la prima linfa e lo spirito della sua ineffabile e scanzonata comicità.
Del resto aveva previsto anche questo. “Diranno che sono un grande soltanto dopo il mio funerale”. Proprio quando, cioè, l’intervento di quella inesorabile signora che “livella” tutti riconducendoci sullo stesso piano rende inutili elogi, glorie ed onori, che già in vita sono effimeri.
Già. Strano vezzo quello degli esseri umani, che tengono in assoluto non cale i vivi, a meno che non abbiano qualcosa da guadagnarci, ma amano alla follia indossare le vesti di Antonio ai funerali di Cesare. Il motivo di tale atteggiamento è intuitivo. Qual si voglia persona si distingua in qualche maniera genera nell’alterità nongià ammirazione, ma sentimenti di indivia, che si annullano solamente con la dipartita verso altri lidi della stessa. Agli altri si riesce a perdonare di tutto, tranne che il successo conseguito, la popolarità, la ricchezza, la fama.
E dunque, cos’è che l’uomo perdona facilmente all’altro uomo?
Una sola cosa!
LA MORTE!
Miscia dixit, con grande mestizia, nell’anniversario della scomparsa del Principe.